Eugenio Corti a Moncalieri, la “profezia” di uno scrittore

Eugenio CortiL’archivio di Eugenio Corti è una miniera. C’è la sterminata corrispondenza con i lettori, la prima versione del Cavallo rosso, scritta a matita con grafia limpida e sottile, nonché le riflessioni di ordine filosofico o le lettere con personaggi come Benedetto Croce o Augusto del Noce. Presto questo materiale sarà consegnato dalla moglie Vanda alla Biblioteca Ambrosiana perché venga custodito accanto alle carte dei Borromeo o a curiosi cimeli come i guanti di Napoleone a Waterloo o la ciocca di capelli di Lucrezia Borgia. Tra le carte in catalogazione ci sono le preziose lettere che Corti scrisse ai famigliari durante il servizio militare: da Piacenza, da Gragnano Trebbiense, da Moncalieri, da Cremona, e, infine, da Clusone e Rovetta sulle alture bergamasche.

Per la sua formazione sono particolarmente interessanti le missive che Corti indirizzò ai genitori dal settembre ’41 al febbraio ’42 durante il periodo di addestramento piemontese. Nel castello di Moncalieri si trovava infatti la Scuola ufficiali d’artiglieria d’Armata, l’arma che lo avrebbe visto protagonista durante la Campagna di Russia.

È un Corti felicemente insolito quello che emerge dalla corrispondenza. Senza le certezze dello scrittore “maturo” e ancora non del tutto a proprio agio in grigioverde. A tal punto che chiese al padre di aiutarlo a trovare un’altra destinazione. Era intimorito dal ritmo “durissimo” di vita, dal doversi cimentare con “cannoni pesanti” di cui non conosceva il funzionamento e soprattutto dalla quantità di matematica che avrebbe dovuto affrontare (lui studente di legge e con poca dimestichezza con goniometri e affini). La prima lettera dalla cittadina piemontese è vivacissima: “Qui tutto si fa di corsa: ci si veste di corsa, ci si lava di corsa, si va a scuola di corsa, si mangia di corsa e quando suona la tromba, se non si è finito, si pianta lì il piatto a metà e si corre in cortile a passeggiare ‘quasi di corsa’”. Lo scoraggiamento durò poco. Corti si pentì di quanto scritto al padre e riprese la penna il giorno successivo. Vedeva nella difficoltà una prova imposta dalla Provvidenza e come tale voleva portarla a termine: “Non vorrei che la lettera spedita ieri vi abbia male impressionato: chiedevo in essa al papà di farmi cambiar scuola. Mi accorgo che sbagliavo: anzitutto perché ho visto nel programma stampato che non è possibile, e poi perché mi trovo dove mi trovo e nessun ostacolo deve spaventarmi. Certo è che son capitato, fra tutti i Corsi per Ufficiali d’esercito, proprio in quello in cui gli studi sono più estesi e più matematici. Ma confido nella Provvidenza” (Lettera ai genitori del 6-9-1941).

Il carattere forte di Corti emerge a più riprese. Racconta che nei primi tempi era spesso punito dai superiori, probabilmente per la troppa esuberanza o magari perché suggeriva a un compagno durante l’interrogazione… Qualche tempo più tardi avrebbe raccontato: “Soltanto sul lato della condotta (punizioni) sono stato piuttosto in ribasso, ma pazienza sono stato sempre così da che sono al mondo” (Lettera dell’8-11). Corti talvolta si lamentava della lentezza con cui i famigliari rispondevano alle sue lettere: “Già tre volte vi ho scritto da Moncalieri, e almeno altrettante da Piacenza prima di partire, e non ho ancora ricevuto niente. Perché? Forse che le mie lettere non arrivano? Aspetto vostre notizie presto: ogni giorno, alla distribuzione della posta, quasi tutti ricevono qualche cosa e a me non arriva mai niente, e sì che sono tra quelli che abitano più vicino, e hanno più parenti, e scrivono di più!” (Lettera del 9-9-1941, in una splendida pagina del Cavallo rosso avrebbe dettagliato l’importanza della posta al fronte).

Durante la permanenza a Moncalieri, Torino fu bombardata. Il futuro autore de I più non ritornano tranquillizzò subito i genitori. Stava bene e si sentiva al sicuro tra le mura del Castello: “I sotterranei sono spaziosi, quantunque non comodissimi. Hanno mura di oltre 2 metri di spessore, e tutti i soffitti a volta. Dato anche il buon numero di piani superiori, potrebbero cadere proprio sopra ad essi tutte le più grosse bombe che gli inglesi possano portare fin qui, senza che mai ne abbiamo a soffrire il massimo fastidio. Laggiù, i colpi delle bombe e dell’antiaerea si sentivano appena appena” (Lettera dell’11 settembre).

Con il passare delle settimane Corti acquistò dimestichezza nella nuova condizione militare fino a sentirsi “un podista di gran classe” (con qualche apprensione però per gli esami di “ginnastica”) e capace di “tirare avanti trionfalmente” nonostante la trigonometria e la “valanga di matematica”. Considerò poi una “bella fortuna” l’apertura dentro il castello di una “sala di lettura” con una “discreta biblioteca”: il futuro romanziere avrebbe placato la sua sete di sapere e colmato le ore libere (sembra che Moncalieri non offrisse troppi diversivi…).

Tra gennaio e febbraio ’42 Corti superò i quattro esami per diventare sottufficiale (tra le materie: “Automobilismo”, “Armi e Tiro”, Nozioni teoriche di Regolamenti”, “Addestramento al combattimento”). Ma il giovane si distinse anche nelle esercitazioni pratiche di comando. Il 10 gennaio in aperta campagna aveva dimostrato la sua attitudine al comando: “Ho avuto la sorpresa d’essere nominato ‘capo-nucleo’. Sono l’unico ‘capo-nucleo’ che faccia Legge, ho così il gusto di dirigere io, e correggere ecc i calcoli di una decina di studenti di ingegneria, per non parlare di quelli delle altre facoltà scientifiche. Carina no? Io che la matematica l’ho sempre guardata di mal’occhio!”.

Corti riuscì a coronare il sogno di diventare sottufficiale e di essere assegnato al fronte russo. Il 9 giugno scrisse ai genitori dalla stazione di Bologna in attesa di partire per il fronte: profetizzò che sarebbe tornato, anche se forse ferito o congelato. Andò proprio così. Trent’anni più tardi ogni immagine che vide in quella tragica avventura avrebbe trovato posto nell’epopea del Cavallo rosso. Secondo quel canone di verità e bellezza che aveva imparato sui banchi di scuola leggendo Omero.

(Alessandro Rivali, Il Sussidiario, 12/11/15)